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giovedì 30 aprile 2015

Referendum popolari propositivi e democrazia plebiscitaria

In questi giorni sta facendo grande scalpore nell'agenda europea il rinnovato attivismo del premier ungherese Victor Orbán, che si e' "distinto" per alcune proposte che hanno diviso l'opinione pubblica internazionale fra favorevoli e contrari. Stiamo parlando della polemica sulla pena di morte e sul sondaggio / referendum interno relativamente alla gestione dell'immigrazione.

Candidati Senza Voce non poteva certo sottrarsi alla discussione ed ha aperto un thread apposito (link), grazie all'input dell'amico Gianfranco Gattini che vive e lavora in Ungheria.

Sul Danubio affrontano quindi il problema con sondaggi popolari, certamente sollecitati in ciò dal senso di insicurezza che la sensazione di attendismo ed inerzia dell'Europa su queste tema trasmette ai paesi più esposti o coi confini più ... permeabili.

Ora, senza voler entrare nel merito della querelle ideologica sull'evoluzione del sistema democratico in Ungheria (a questo pensano già personaggi in vista come gli aspri critici Jean-Claude Juncker e Cecilia Wikstrom o gli entusiastici sostenitori come il padano Matteo Salvini) e senza considerare che alcune di queste posizioni sono evidentemente incompatibili con lo "acquis communautaire", intendiamo discutere la questione sotto un altro profilo, quello del metodo.

E' la cosiddetta "democrazia diretta" espressa nell'esercizio del referendum popolare il metodo giusto per affrontare questioni di questa portata?

Oppure, i referendum popolari organizzati in assenza di una precisa consapevolezza ed educazione "educazione delle masse" (conoscenza del tema in oggetto, impatto della decisione, visione olistica della posta in gioco, etc), si riducono ad uno sterile esercizio di "democrazia plebiscitaria" (specialmente quelli propositivi che a gran voce molti invocano come panacea alla stagnazione politica contemporanea)? Il tema e' oggetto di discussione nel forum di CSV (link) .

Innanzitutto va precisato che il termine "masse" contenuto nella tesi espressa da CSV, non ha nulla a che vedere con l'accezione marxista; esso trae la sua origine nell'illuminismo, in Alexis de Tocqueville, che metteva in guardia contro il pericolo della "oclocrazia" (... tyrannie des masses ou loi de la populace ... ). Il suo messaggio e' ancora attuale, visto che a distanza di due secoli il tema e' ancora irrisolto. Se lo fosse stato, non avremmo avuto fenomeni come quello della legittimazione popolare di personaggi inqualificabili nel XX e nel primo scorcio di XXI secolo. Non dovrebbe quindi sorprendere che l'avatar del Blog di Candidati Senza Voce sia proprio il filosofo e politologo francese, in omaggio al secolare dilemma di come riconciliare diritti di rappresentanza delle masse con il pericolo della demagogia sempre in agguato come allora, nonostante le caratteristiche delle società sottese alle c.d. "liberal-democrazie" moderne fossero ai suoi tempi inimmaginabili

Se e' vero come e' vero che in una società realmente moderna, democratica e pluralista, dove l'individuo e' posto al centro in termini di perseguimento della sua realizzazione personale ed auto-responsabilizzato, lo "stato" non dovrebbe avere che un compito "pedagogico" marginale, dovendosi limitare ad attuare le deleghe ad esso attribuite dal detentore della "sovranità" (il "Popolo" della Costituzione), allo stesso tempo ci si deve porre la questione del come si arriva ad essere democraticamente maturi (informati, responsabili, etc). Con l'esercizio costante oppure si deve attendere che la plebe esca, non si sa come, dalle tenebre dell'ignoranza e della superstizione prima di concederle diritti democratici? La seconda è molto aristocratica. La prima è irta di ostacoli ed errori ma dovrebbe (?) dopo anni/decenni/secoli portare alla maturità (o quantomeno ad un accettabile livello di).

Ipotizziamo che le masse necessitino, in quanto "maleducate", di essere educate da chi la sa lunga ed è disposto a illuminare chi vive nel buio (quindi un'educazione che proviene da una casta sacerdotale o intellettuale) oppure ipotizziamo che ogni popolazione si educhi da sola per prove ed errori, esercitandosi alla responsabilità delle sue scelte, anche sbagliando? Sembra una classica questione si chi viene prima: l'uovo o la gallina? La consapevolezza o gli strumenti democratici per acquisirla?

Certo, la democrazia diretta "pratica" (ad esempio, quella referendaria svizzera) è come una palestra: più ti eserciti, più migliora la resa; allo stesso tempo, pero', il termine "educazione" non significa necessariamente auspicare la presenza di un "demiurgo" (d'altronde abbiamo citato Tocqueville, non Hobbes) ... nella storia sono più rappresentati i demagoghi che i "sovrani / filosofi illuminati". 

Ora, ancorché coscienti che i termini "demagogia" e "populismo" sono usati e soprattutto abusati, da una certa politica che se ne fa uno scudo per perpetuare i propri "privilegi di casta", riteniamo che non si possa prescindere da entrambe le "strategie": l'esercizio di autoapprendimento unito ad una sorta di "educazione civica" permanente e diffusa, condite entrambe dall'essenziale ingrediente del "buon esempio". Non per niente, noi di CSV abbiamo più volte richiamato l'attenzione sulla questione "antropologica" del mutamento sociale. Essenziale risulta quindi fornire occasioni concrete per esercitare questa responsabilità e diventare "democraticamente maturi". 

Come sottolineato più volte, il populismo e la demagogia sono patrimonio comune sia degli istituti di cosiddetta "democrazia diretta" sia di quelli cosiddetti "rappresentativi"; Tocqueville ce lo ha insegnato già due secoli fa e non dobbiamo quindi inventarci nulla.  

Cosiddetti "istituti" perché, purtroppo o per fortuna, la democrazia diretta e' in realtà una comoda finzione ... non esiste e non e' mai esistita se non, forse, nelle Agorà ateniesi anch'esse preda del demagogo di turno. Illudersi sul fatto che l'espressione popolare nel referendum sia espressione di democrazia diretta, quando l'agenda politica e' decisa comunque da un ristretto numero di individui equivale al cullarsi nella stessa illusione secondo la quale nel plebiscito o nella commedia elettorale risulti la volontà popolare. 

Se siamo coscienti di questi limiti e della strutturale imperfezione dell'esercizio democratico, sospeso fra l'isteria irrazionale dell'assemblearismo e l'oligarchia del parlamentarismo puro, allora siamo già un pezzo avanti e possiamo guardare al futuro, collocando questa riflessione come realtà storica dell'attuale situazione italiana ed europea.

Si ringraziano per il prezioso contributo Roberto Alessi, Concetta Centonze, Paolo Fiore, Franz Forti, Valeria Novellini e tutti gli altri amici di CSV che hanno preso parte alla discussione.

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