Riceviamo e volentieri pubblichiamo dall'amico Francesco Introzzi
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KOONY-LABSS
Laboratorio cuneese di Scienze sociali
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Attività individuale socio-culturale
senza fini di lucro
Francesco Introzzi
Cuneo, sabato 31 maggio 2014
La Repubblica federale italiana come modulo di una
Comunità mondiale
/ Le strutture federali non devono ledere le libertà civili delle persone
fisiche e nemmeno l’auto-organizzazione e l’auto-governo - politico -
delle comunità politiche locali.
/ Delle comunità politiche locali, le strutture federali devono solo
rappresentare la loro proiezione macro-geografica: senza diventare una
superiore entità politica dominante.
/ La sovranità delle comunità politiche locali dev’essere e rimanere
intangibile e intrasferibile.
/ Occorre mettere in atto “un processo socio-culturale evolutivo” per
riuscire a trasformare la Repubblica italiana, da unitaria e
burocratico-centralista, in Repubblica federale: una Repubblica fondata
su di un sistema di libertà civili condivise e su di un principio generale di
intrasferibilità delle sovranità locali
Lo straordinario successo di Matteo Renzi in occasione delle
elezioni europee del 25 maggio è stato un risultato molto importante per la
costruzione di un’affidabilità italiana che storicamente non è mai
riuscita ad affermarsi e che deve servirci per uscire definitivamente da un
ventennio di dilapidazione finanziaria e di disgregazione civile: e questo a
tutti i livelli, non soltanto a livello istituzionale e politico ma,
soprattutto a livello di popolazione. Dobbiamo renderci conto che Silvio
Berlusconi è stato solo un’espressione, centratissima questo sì, del
classico stereotipo di un italiano, un po’ burlone e un po’ marpione. Dobbiamo
renderci conto che i responsabili della situazione in cui ci siamo
deliberatamente e irresponsabilmente cacciati siamo noi - in prima persona
plurale - i veri responsabili, alla faccia delle nostre diverse - e a loro dire
“eccellenti” - classi dirigenti.
Del cavaliere non facciamone il capro espiatorio come, del resto,
sarebbe inconcepibile farne l’eroe di un ventennio di benessere; un benessere
assolutamente fasullo, solo prodromo di un fallimento di fondo e origine di un
ammasso di problemi divenuti progressivamente inestricabili e ingestibili.
Sarà bene metterci una pietra sopra e pensare a rimettere in cantiere dei
progetti che inutilmente abbiamo coltivato per ben settant’anni: settant’anni
di puro sbandamento, senza sostanziale costrutto, incoscientemente sprecati
fin dalla fine dell’ultima guerra mondiale.
L’Italia e, in generale, tutti i paesi europei si sono rassegnati a fare da
marginali comparse nel pesante gioco di nazioni con grandi pretese
egemoniche e con capacità politiche tutto sommato gravemente deludenti.
Sia la potenza U. S. A. che le potenze emergenti come la Cina, l’India e il
Brasile, per non parlare dell’Asia occidentale e dell’Africa, ci forniscono un
quadro terribilmente fosco per quanto riguarda l’esercizio democratico dei
diritti civili al loro interno e per la loro incapacità di rendere
definitivamente inutili, e di fatto inutilizzate, le armi e i loro sempre
più sofisticati sistemi tecnologico-militari, prospettati come
deterrenti, salvo poi rischiare di vederli utilizzati inopinatamente come
strumenti di vero e proprio conflitto geo-politico internazionale.
Abbiamo sotto gli occhi una situazione esplosiva come quella
dell’Ucraina che le “grandi potenze” utilizzano a scopi macro-politici che
con le umane esigenze delle loro stesse popolazioni non hanno niente a che
fare. Chiaro che l’Europa, anche qui, sulle porte di casa sua, si limita
a sussurrare qualcosa di incomprensibile, ridotta a risibile macchietta.
Per ora l’Europa rappresenta ancora un soggetto economico di
primaria importanza planetaria, tanto è vero che il governo U. S. A.,
nostro sodale nella N. A. T. O., sembra manifestamente temerne l’unificazione
federale.
La questione della paura che sistematicamente i governi U. S. A. hanno
dimostrato - e continuano a dimostrare - nei confronti dell’ipotesi di
unione federale europea ha finito per diventare un problema macroscopico a
livelli planetario.
Com’è, in parallelo, diventato macroscopico il problema interno U. S. A. di
una politica sociale che ha prodotto una società sempre più spaccata in
classi sociali fortemente differenziate: in termini patrimoniali, reddituali e
culturali.
La loro politica di immigrazione pare studiata apposta per riciclare entro
i loro confini un afflusso di neo-cittadini - economicamente e culturalmente
deboli e ricattabili - che sembrano fatti apposta per indebolire una
popolazione che aveva osato mettere in discussione delle strutture sociali
basate sull’autoritarismo e sulla subordinazione gerarchica,
sulla creazione di aree culturali tecnologicamente avanzate - ed economicamente
premiate - a fronte di altre aree culturalmente subalterne.
Solo a titolo esemplificativo la massiccia immigrazione di una popolazione
ispanofona, rispetto ad una pre-esistenze maggioranza anglofona,
presumibilmente giudicata “troppo contestatrice” (leggi il ’68
studentesco, iniziato nel 1964, dall’università californiana di Berkley,
vedi nota), desta qualche riserva sulla volontà e la capacità culturale di
favorire un consolidamento in termini civili delle comunità politiche d’oltre
atlantico. Gli stessi film di produzione hollywoodiana, con le loro infinite
sparatorie, non fanno che confermare queste nostre preoccupazioni. Esiste un
rischio concreto che l’amicizia e la naturale solidarietà euro-americane ne
vengano indebolite e perfino compromesse.
Diventa allora indispensabile, per l’Europa e per la stessa America, pensare
a sviluppare un nuovo spirito comunitario planetario che riesca a svuotare come
un non-senso auto-distruttivo la logica di potenza basata sul dominio
tecnocratico e militare.di un paese dominante o di una coalizione (con scontro
simulato) di una circoscritta “compagine dominante” di poche “grandi potenze”.
Si tratta di de-legittimare quella che, per millenni, è stata la logica di
aumentare al massimo la propria capacità, prima, di distruzione
dell’avversario e poi di consolidato controllo coloniale, (militare,
politico, religioso ed economico); ora, più propriamente, tecnologico-finanziario.
C’è da sperare che possa emergere, col tempo e
tendenzialmente, senza mai abbandonarlo, il disegno generale, un’intesa
planetaria che, alla fin fine, stabilisca - in linea di fatto
particolare e non in pura linea teorica generale - un principio di
accordo sistematico dei diritti delle persone fisiche coinvolte nelle
situazioni concrete oggetto di gestione comune.
La decisiva mutazione da realizzare consiste nel capovolgimento delle
fantomatiche e magniloquenti dichiarazioni delle organizzazioni internazionali
(leggi O. N. U.), per reralizzare un sistema diffuso di produzione di accordi
che devono nascere e svilupparsi tra le persone fisiche, tra gruppi spontanei,
tra le micro-organizzazioni sociali, tra le comunità territoriali elementari, ampliando
poi progressivamente le varie cerchie e integrandole tra di loro.
La diplomazia deve superare la sua classica segretezza e
svilupparsi anch’essa alla luce del sole! Non c’è ragione di segretezza e di
riservatezza particolare in un mondo in cui l’informazione non deve più servire
per farsi la guerra di tutti contro tutti, ma nel quale invece le risorse
vengono destinate a soddisfare i bisogni in modo equilibrato e condivisibile,
in un clima di “fair play” come prova, banale se vogliamo, ma concreta, di
vera, umana, (auto-) civilizzazione.
A questo progetto siamo tutti chiamati a
concorrere, con coraggio e determinazione.
Nessuno ci regalerà niente per niente. La libertà non si compra: si
esercita! E si deve esercitare insieme, aiutando il prossimo - e gli altri
gruppi - a esercitare ciascuno la propria - bilanciata - auto-determinazione!
Francesco Introzzi
Nota -Il Free Speech Movement (FSM) è stato un movimento studentesco
di protesta
[antiautoritario F.I.] che si è sviluppato durante l'anno accademico 1964-1965 nel campus dell'Università di California, Berkeley,
sotto la guida informale degli studenti Mario Savio,
Brian Turner, Bettina Aptheker, Steve Weissman, Art
Goldberg, Jackie Goldberg e altri. Durante le proteste, senza
precedenti a quel tempo, gli studenti insistettero sul fatto che l'amministrazione
dell'università togliesse il divieto del campus di praticare attività
politiche e di riconoscere il diritto degli studenti alla libertà di
espressione e alla libertà accademica.