lunedì 2 giugno 2014

La Repubblica federale italiana come modulo di una Comunità mondiale - di F. Introzzi



Riceviamo e volentieri pubblichiamo dall'amico Francesco Introzzi
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Francesco Introzzi
Cuneo, sabato 31 maggio 2014

La Repubblica federale italiana come modulo di una Comunità mondiale
/ Le strutture federali non devono ledere le libertà civili delle persone fisiche e nemmeno  l’auto-organizzazione e l’auto-governo - politico - delle comunità politiche locali.
/ Delle comunità politiche locali, le strutture federali devono solo rappresentare la loro proiezione macro-geografica: senza diventare una superiore entità politica dominante.
/ La sovranità delle comunità politiche locali dev’essere e rimanere intangibile e intrasferibile.
/ Occorre mettere in atto “un processo socio-culturale evolutivo” per riuscire a trasformare la Repubblica italiana, da unitaria e burocratico-centralista, in Repubblica federale:  una Repubblica fondata su di un sistema di libertà civili condivise e su di un principio generale di intrasferibilità delle sovranità locali



Lo straordinario successo di Matteo Renzi in occasione delle elezioni europee del 25 maggio è stato un risultato molto importante per la costruzione di un’affidabilità italiana che storicamente non è mai riuscita ad affermarsi e che deve servirci per uscire definitivamente da un ventennio di dilapidazione finanziaria e di disgregazione civile: e questo a tutti i livelli, non soltanto a livello istituzionale e politico ma, soprattutto a livello di popolazione. Dobbiamo renderci conto che Silvio Berlusconi è stato solo un’espressione, centratissima questo sì,  del classico stereotipo di un italiano, un po’ burlone e un po’ marpione. Dobbiamo renderci conto che i responsabili della situazione in cui ci siamo deliberatamente e irresponsabilmente cacciati siamo noi - in prima persona plurale - i veri responsabili, alla faccia delle nostre diverse - e a loro dire “eccellenti” - classi dirigenti.
Del cavaliere non facciamone il capro espiatorio come, del resto, sarebbe inconcepibile farne l’eroe di un ventennio di benessere; un benessere assolutamente fasullo, solo prodromo di un fallimento di fondo e origine di un ammasso di problemi divenuti progressivamente inestricabili e ingestibili.
Sarà bene metterci una pietra sopra e pensare a rimettere in cantiere dei progetti che inutilmente abbiamo coltivato per ben settant’anni: settant’anni di puro sbandamento, senza sostanziale costrutto, incoscientemente sprecati fin dalla fine dell’ultima guerra mondiale.
L’Italia e, in generale, tutti i paesi europei si sono rassegnati a fare da marginali comparse  nel pesante gioco di nazioni con grandi pretese egemoniche e con capacità politiche tutto sommato gravemente deludenti.
Sia la potenza U. S. A. che le potenze emergenti come la Cina, l’India e il Brasile, per non parlare dell’Asia occidentale e dell’Africa, ci forniscono un quadro terribilmente fosco per quanto riguarda l’esercizio democratico dei diritti civili al loro interno e per la loro incapacità di rendere definitivamente inutili, e di fatto inutilizzate, le armi e i loro sempre più sofisticati sistemi tecnologico-militari, prospettati come deterrenti, salvo poi rischiare di vederli utilizzati inopinatamente come strumenti di vero e proprio conflitto geo-politico internazionale.
Abbiamo sotto gli occhi una situazione esplosiva come quella dell’Ucraina che le “grandi potenze” utilizzano a scopi macro-politici che con le umane esigenze delle loro stesse popolazioni non hanno niente a che fare. Chiaro che l’Europa, anche qui, sulle porte di casa sua, si limita a sussurrare qualcosa di incomprensibile, ridotta a risibile macchietta.
Per ora l’Europa rappresenta ancora un soggetto economico di primaria importanza planetaria, tanto è vero che il governo U. S. A., nostro sodale nella N. A. T. O., sembra manifestamente temerne l’unificazione federale.
La questione della paura che sistematicamente i governi U. S. A. hanno dimostrato - e continuano a dimostrare - nei confronti dell’ipotesi di unione federale europea ha finito per diventare un problema macroscopico a livelli planetario.
Com’è, in parallelo, diventato macroscopico il problema interno U. S. A. di una politica sociale che ha prodotto una società sempre più spaccata in classi sociali fortemente differenziate: in termini patrimoniali, reddituali e culturali.
La loro politica di immigrazione pare studiata apposta per riciclare entro i loro confini un afflusso di neo-cittadini - economicamente e culturalmente deboli e ricattabili - che sembrano fatti apposta per indebolire una popolazione che aveva osato mettere in discussione delle strutture sociali basate sull’autoritarismo e sulla subordinazione gerarchica, sulla creazione di aree culturali tecnologicamente avanzate - ed economicamente premiate - a fronte di altre aree culturalmente subalterne.
Solo a titolo esemplificativo la massiccia immigrazione di una popolazione ispanofona, rispetto ad una pre-esistenze maggioranza  anglofona, presumibilmente giudicata “troppo contestatrice” (leggi il ’68 studentesco, iniziato nel 1964, dall’università californiana di Berkley, vedi nota), desta qualche riserva sulla volontà e la capacità culturale di favorire un consolidamento in termini civili delle comunità politiche d’oltre atlantico. Gli stessi film di produzione hollywoodiana, con le loro infinite sparatorie, non fanno che confermare queste nostre preoccupazioni. Esiste un rischio concreto che l’amicizia e la naturale solidarietà euro-americane ne vengano indebolite e perfino compromesse.
Diventa allora indispensabile, per l’Europa e per la stessa America, pensare a sviluppare un nuovo spirito comunitario planetario che riesca a svuotare come un non-senso auto-distruttivo la logica di potenza basata sul dominio tecnocratico e militare.di un paese dominante o di una coalizione (con scontro simulato) di una circoscritta “compagine dominante” di poche “grandi potenze”.
Si tratta di de-legittimare quella che, per millenni, è stata la logica di aumentare al massimo la propria capacità, prima, di distruzione dell’avversario e poi di consolidato controllo coloniale, (militare, politico, religioso ed economico); ora, più propriamente, tecnologico-finanziario.
 C’è da sperare che possa emergere, col tempo e tendenzialmente, senza mai abbandonarlo, il disegno generale, un’intesa planetaria che, alla fin fine, stabilisca - in linea di fatto particolare e non in pura linea teorica generale -  un principio di accordo sistematico dei diritti delle persone fisiche coinvolte nelle situazioni concrete oggetto di gestione comune.
La decisiva mutazione da realizzare consiste nel capovolgimento delle fantomatiche e magniloquenti dichiarazioni delle organizzazioni internazionali (leggi O. N. U.), per reralizzare un sistema diffuso di produzione di accordi che devono nascere e svilupparsi tra le persone fisiche, tra gruppi spontanei, tra le micro-organizzazioni sociali, tra le comunità territoriali elementari, ampliando poi progressivamente le varie cerchie e integrandole tra di loro.
La diplomazia deve superare la sua classica segretezza e svilupparsi anch’essa alla luce del sole! Non c’è ragione di segretezza e di riservatezza particolare in un mondo in cui l’informazione non deve più servire per farsi la guerra di tutti contro tutti, ma nel quale invece le risorse vengono destinate a soddisfare i bisogni in modo equilibrato e condivisibile, in un clima di “fair play” come prova, banale se vogliamo, ma concreta, di vera, umana, (auto-) civilizzazione.
A questo progetto siamo tutti chiamati a concorrere, con coraggio e determinazione.
Nessuno ci regalerà niente per niente. La libertà non si compra: si esercita! E si deve esercitare insieme, aiutando il prossimo - e gli altri gruppi - a esercitare ciascuno la propria - bilanciata - auto-determinazione!
Francesco Introzzi

Nota -Il Free Speech Movement (FSM) è stato un movimento studentesco di protesta [antiautoritario F.I.] che si è sviluppato durante l'anno accademico 1964-1965 nel campus dell'Università di California, Berkeley, sotto la guida informale degli studenti Mario Savio, Brian Turner, Bettina Aptheker, Steve Weissman, Art Goldberg, Jackie Goldberg e altri. Durante le proteste, senza precedenti a quel tempo, gli studenti insistettero sul fatto che l'amministrazione dell'università togliesse il divieto del campus di praticare attività politiche e di riconoscere il diritto degli studenti alla libertà di espressione e alla libertà accademica.



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