di M. Noris.
L'approccio mentale dell'elettore sembra essere quello di esigere
spiegazioni semplici anche nel caso di problemi complessi e i
politicanti, recepito il messaggio, rispondono con spot elettorali
camuffati da riforme che, sebbene abbiano dimostrato di soddisfare le
masse, non forniscono né adeguata comprensione del problema né tantomeno
soluzioni reali.
Uno dei topic principali rimane quello
del debito pubblico, argomento complessissimo anche tra gli esperti del
settore ma che viene ormai trattato con toni da bar.
Anzitutto è
necessario sfatare un mito: il debito italiano non è stato creato
dall'€uro. Tra scelte sbagliate e "colpi di sfiga", già nel lontano 1994
ammontava al 124% del PIL, con interessi che si aggiravano attorno
all'11% del PIL. A fronte di un indebitamento enorme la crescita restava
inchiodata al palo, anche in paragone alla media europea, il che si
spiega in un modo semplice: l’Italia non si è indebitata investendo nel
suo futuro, tutt'altro.
Attualmente il debito italiano
ammonta ad oltre 2mila miliardi di euro e, a grandi linee, è così
diviso: il 32% in mano a stranieri, il 16% in mano alla Banca d'Italia,
il 19% detenuto da Fondi e Assicurazioni, il 27% in mano alle banche e
solo il 6% direttamente in mano ai cittadini (ovviamente al netto della quota detenuta dagli investitori "istituzionali" per conto di privati in strumenti come fondi comuni e simili, quindi sottostimanta). La deduzione che solo il 32% del debito
sia posseduto da investimenti stranieri è tuttavia errata, in quanto
molte delle banche e dei fondi che consideriamo italiani hanno in realtà
azionisti stranieri, riducendo sensibilmente la quota considerata
"interna".
Una delle posizioni più discusse è quella di
tornare a stampare moneta per ripagare il debito, il che senza dubbio
potrebbe essere una soluzione. Ma una soluzione che comporterebbe
sacrifici pesantissimi, cosa che il governo si guarda bene dal
sottolineare.
In presenza di conti pubblici non
sostenibili, infatti, una Banca centrale tenderà ad aumentare inflazione
e svalutazione, massacrando il potere di acquisto dei cittadini ed
erodendo depositi. L'esempio della Repubblica di Weimar è forse il caso
più noto: le fabbriche erano costrette a versare gli stipendi
giornalmente perché il valore della moneta crollava costantemente ogni
ora.
Senza arrivare a casi limite, l'esperienza degli anni '70
dimostra come, durante una crisi, la capacità del governo di controllare
l'inflazione sia davvero minima.
Vi è inoltre un altro
problema. In caso di uscita dall'euro il debito pubblico difficilmente
verrà riconvertito nella nuova moneta, aumentando ancor più la sua
incidenza sul PIL. A quel punto potrebbero risultare davvero necessarie
misure limite quali patrimoniali, tasse sulle successioni o donazioni
(sebbene la prima appare come la meno probabile).
Un altro
elemento che il governo si guarda bene dal toccare sono le conseguenze
che la svalutazione della nuova moneta (che si stima sarà attorno al
30%) avrà su asset e depositi, che subiranno la medesima svalutazione.
Ad esempio, un conto corrente da 1000 euro riconvertito sarà, nella
nuova moneta, l'equivalente di 700 euro.
La sola ipotesi di
un'eventuale italexit creerebbe una fuga di capitali e una corsa agli
sportelli senza precedenti, con immediata crisi bancaria. Non a caso
Savona parlava di uscita coatta.
Sarebbe possibile
mantenere i depositi in €uro? Certamente, ma in quel caso sarebbero le
banche a fallire. Per una banca le giacenze rappresentano delle
passività e i prestiti delle attività. In altre parole, avrebbero uscite
in euro ed entrate nella nuova moneta svalutata, con conseguente crisi
di liquidità.
E ricomprare il debito detenuto dalle banche per poi monetizzarlo, ossia usare i titoli di stato come vera e propria moneta?
Operazione senza dubbio complicata; l'emissione in sostituzione dei
titoli in scadenza potrebbe in linea teorica funzionare per tempi
limitati ma sarebbe comunque un'operazione delicata e sinora nessuno al
governo l'ha presa seriamente in considerazione.
Nei mesi
scorsi si è poi fatto un gran parlare a proposito della cancellazione
del debito detenuto dalla BCE, quasi fosse una panacea. Sarebbe
possibile? Che lo sia o meno, si parla di una quota pari al 14% del PIL,
di certo non risolutiva.
I più integralisti parlano invece
di non ripagare i creditori. Questa linea di pensiero è quantomeno
insensata, in quanto per farlo sarebbe necessario dichiarare default e
questo è, semplicemente, impossibile. Per un fattore molto semplice: i
Credit Default Swap (i cosiddetti derivati). Ogni obbligazione statale è
infatti usata a collaterale (c.d. "leverage") per circa 20 volte il suo valore e
dichiarare fallimento porterebbe al collasso l'intera economia mondiale,
ormai in mano alla finanza speculativa. In questo il governo ha
ragione: come debitori abbiamo il coltello dalla parte del manico. Ma si
tratta pur sempre di una lama a doppio taglio …
Un
ultimo aspetto da considerare sono le CAC (COLLECTIVE ACTION CLAUSES), strumento voluto da Bruxelles
che permette di attuare la ristrutturazione del debito ricontrattando
scadenze e interessi di titoli già emessi. È possibile che gran parte
dei Titoli di Stato verrà, nel giro di qualche anno, stipulato come CAC
il che, potenzialmente, porterebbe ad ulteriore imprevedibilità.
In ultima analisi, il Giappone, spesso preso come esempio. Secondo
l'Osservatorio CPI della Università Cattolica del Sacro Cuore, tra i due paesi sussistono numerose differenze:
anzitutto, al netto delle attività finanziarie liquide detenute dallo
Stato il debito pubblico giapponese scenderebbe al 119%. Inoltre, il 90%
dei titoli sarebbe detenuto dai giapponesi stessi (contro il 6% in
Italia) che sembrano non abbiano desiderio di diversificare il proprio
portafoglio. Da notare inoltre che i paesi avanzati con il tasso di
crescita minore sono Italia, Grecia e Giappone, proprio quelli con il
livello di debito più elevato.
Come detto nell'incipit, non
esiste una soluzione semplice e chi anela l'uscita dall'€uro senza
parlare dei sacrifici mente. Molto probabilmente non esiste nemmeno una
soluzione per tutti e all'interno di un sistema compromesso la salvezza
dipende davvero dalle condizioni e dalle scelte dei singoli.