ORGANISMI PARITETICI E SICUREZZA SUL LAVORO: C'È UNA LUCE IN FONDO AL TUNNEL... O È IL TRENO?
di M. Noris
Sono passati mediamente due anni dalla pubblicazione delle liste regionali degli Organismi Paritetici: è cambiato qualcosa?
Dovendo anticipare qualcosa, la risposta è passata da un "fatti li cazzi tua" ad un "boh" incerto.
Ma facciamo un salto indietro.
Il D.Lgs. n. 81/2008, ormai quasi 10 anni or sono, ha formalmente designato gli Organismi Paritetici (OP) per la formazione aziendale in tema di salute e sicurezza sul lavoro.
Cosa sono gli OP? Dicesi OP enti o associazioni di categoria cui, a livello locale (generalmente provinciale), il datore di lavoro deve rivolgersi per formare i propri dipendenti in tema, appunto, di salute e sicurezza, e per supporto nell'individuazione di soluzioni tecniche e organizzative.
Fin qui tutto bene, se non fosse che il legislatore, in preda all'enfasi del momento, si era dimenticato di specificare sia quali fossero questi OP, sia quali certificazioni dovessero esibire (oltre ad altri buchi normativi assortiti).
Il risultato fu che negli anni successivi gli OP spuntarono dal nulla come funghi, vendendo alle aziende certificati scritti col pennarello e organizzando corsi di formazione seduti in trattoria bevendo lambrusco (vedi la Promotech di Modena, poi a processo).
La situazione divenne così confusa che 4 anni dopo il Ministero specificò, con l'Accordo del 25 luglio 2012, che il datore di lavoro era sì costretto ad informare gli OP in caso di formazione, ma non necessariamente ad attivarli. Il datore di lavoro è infatti libero di contattare formatori privati qualificati e l'adeguatezza formativa deve essere valutata sulla base dell'accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011, non sulla presenza o meno degli OP (la cui assenza poteva sinora essere sanzionabile).
Di fatto, però, le cose non cambiarono di un virgola e su tutta la vicenda troneggiava l'esilarante art. 37, comma 12, del suddetto d.lgs. che ricitava "il datore di lavoro che richieda la collaborazione di tali organismi (...) è tenuto a verificare che i soggetti che propongono la propria opera a sostegno dell’impresa posseggano tali caratteristiche".
Ci vollero altri 4 anni per assistere al miracolo: le Regioni, folgorate sulla via di Damasco, pubblicarono tra il 2015 e il 2016 la lista delle OP certificate. Aggiungendo un perentorio "mi raccomando, attenzione agli OP fasulli!"
Tutto bene, dunque? Senz'altro meglio, ma probabilmente non abbastanza. Molti degli OP fasulli sono scomparsi (anche se il fenomeno è tutt'altro che passato, complici alcuni datori di lavoro compiacenti), ma ancora sussistono dubbi.
Anzitutto l'RLS, ossia il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), figura che deve essere prevista (e formata) per legge in ogni azienda: in sua assenza, il datore di lavoro è tenuto ad affidarsi agli OP che designeranno un RLST, ossia un RLS territoriale.
Piccolo particolare, l'assenza di tale figura non è sanzionabile (viene giustificata come diritto non esercitato dai lavoratori), e il RLST non ha in realtà alcun incarico ufficiale, finendo per contare come il due di briscola.
Un altro tema assolutamente non chiaro è quello del controllo. Chi vigila sulle procedure e sulla formazione? L'ispezione da parte dell'organo di vigilanza, tra i vari OP e azienda, appare decisamente complesso, anche di fronte ad una normativa così confusionaria. Molto spesso la formazione non appare sufficiente, e non di rado i corsi sono standard per tutte le categorie. Unica nota positiva, il D.Lgs. n. 81/2008 avrebbe abrogato l'art.7 della legge delega n. 123/2007, che avrebbe investito gli OP anche di poteri ispettivi.
Anche la presenza degli OP appare a volte insufficiente quando presente, nel caso tali enti fossero contattati da tutta la categoria.
Ancora, la mancata collaborazione con tali enti pare venga, in alcuni casi, malvista dagli Organi di vigilanza.
In questo bailamme normativo, la domanda resta sempre la stessa: possibile non riusciamo nemmeno ad organizzare un sistema formativo aziendale sensato?
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